Mandato d’arresto europeo: lo Stato non può rifiutare di eseguire il provvedimento e poi provvedere alla concretizzazione della pena
Fondamentale il ruolo dello Stato che ha emesso il mandato. Necessario un consenso di tale Stato per consentire in un altro Paese l’esecuzione della pena

Un’autorità giudiziaria non può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo e prendere in carico essa stessa l’esecuzione della pena senza il consenso dello Stato che ha emesso tale mandato. Senza tale consenso, lo Stato di emissione può mantenere il mandato d’arresto europeo ed eseguire esso stesso la pena nel proprio territorio.
Questi i chiarimenti forniti dai giudici europei (sentenza del 4 settembre 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), i quali, ampliando l’orizzonte oltre la specifica vicenda riguardante un cittadino rumeno, specificano che il mandato d’arresto europeo è una procedura giudiziaria semplificata, prevista dal diritto dell’Unione Europea, che consente l’arresto di una persona nello Stato membro in cui essa si trova e la sua consegna nello Stato membro che ha emesso il mandato, affinché essa vi sia sottoposta a procedimento penale o vi esegua la pena a cui è stata condannata.
In questo settore, i principi della fiducia e del riconoscimento reciproci costituiscono le basi della cooperazione giudiziaria in materia penale e sanciscono una regola importante: gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo. La non esecuzione di un siffatto mandato può quindi avvenire solo in via eccezionale.
A fronte della specifica vicenda, i giudici europei spiegano perché la non esecuzione di un mandato d’arresto europeo, al fine di eseguire tale pena nello Stato in cui risiede la persona colpita dal provvedimento, sia valida solo se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione rispetta le condizioni e la procedura connesse al riconoscimento della sentenza di condanna e alla presa in carico dell’esecuzione di detta pena, prevista da un’altra normativa dell’Unione Europea.
Ecco le tappe principali della vicenda in esame. Nel 2017 un cittadino rumeno viene condannato dalla Corte d’appello di Bucarest a una pena detentiva, divenuta definitiva il 10 novembre 2020. Il 25 novembre 2020 tale giudice emette un mandato d’arresto europeo nei confronti di detta persona ai fini dell’esecuzione di tale condanna. Il 29 dicembre 2020 tale persona viene arrestata in Italia. Tuttavia, le autorità giudiziarie italiane rifiutano di consegnare la persona interessata alle autorità rumene. Per contro, tali autorità decidono di riconoscere la sentenza di condanna della Corte d’appello di Bucarest e di eseguire la pena in Italia. Esse ritengono infatti che ciò aumenterebbe le possibilità di reinserimento sociale del soggetto, il quale risiedeva legalmente ed effettivamente in Italia. Inoltre, le autorità giudiziarie italiane detraggono dalla durata iniziale della pena i periodi di detenzione già scontati in Italia e dispongono nei confronti del condannato gli arresti domiciliari con contestuale sospensione condizionale. Dal canto loro, le autorità giudiziarie rumene si oppongono tanto al riconoscimento della sentenza di condanna quanto alla sua esecuzione in Italia. Esse ribadiscono che il mandato d’arresto europeo emesso nei confronti del cittadino rumeno è ancora in vigore. Di conseguenza, secondo le autorità rumene, la persona deve essere consegnata e la sua pena deve essere eseguita non già in Italia, bensì in Romania.
Consequenziali i dubbi sul tavolo dei giudici europei: il rifiuto di consegnare una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso per eseguire una pena privativa della libertà presuppone che lo Stato di emissione abbia acconsentito all’esecuzione della pena in un altro Stato membro? Qualora, poi, lo Stato di emissione non abbia dato il suo consenso a tale presa in carico conformemente alle norme specifiche del diritto dell’Unione Europea in materia, esso conserva il diritto di eseguire la pena e quindi di mantenere il mandato d’arresto europeo?
A fronte di tali interrogativi, i giudici europei ricordano anzitutto che il mandato d’arresto europeo si basa sul principio della fiducia reciproca e che il rifiuto di esecuzione è un’eccezione, che deve essere sempre interpretata restrittivamente. Pertanto, gli organi giudiziari dello Stato membro che rifiuta l’esecuzione del mandato d’arresto europeo affinché la pena sia eseguita nel territorio di questo stesso Stato devono ottenere il consenso degli organi dello Stato membro emittente quanto alla presa in carico dell’esecuzione della pena irrogata in quest’ultimo Stato. Tale consenso implica la trasmissione allo Stato membro di esecuzione della sentenza di condanna pronunciata dallo Stato membro di emissione, corredata di un certificato. Senza tale consenso, le condizioni per la presa in carico dell’esecuzione non sono soddisfatte e la persona interessata deve essere consegnata. Infatti, l’obiettivo di aumentare le possibilità di reinserimento sociale, addotto dalle autorità italiane, osservano i giudici europei, non è assoluto e deve essere conciliato con la regola di principio secondo cui gli Stati membri danno esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo.
Tenuto conto delle diverse funzioni della pena nell’ambito della società, gli organi dello Stato membro in cui una persona è stata condannata a una pena privativa della libertà possono legittimamente basarsi su argomenti di politica penale che gli sono propri al fine di giustificare che la pena irrogata sia eseguita nel suo territorio e, di conseguenza, rifiutare la trasmissione della sentenza di condanna e del certificato ai fini dell’esecuzione della pena in un altro Stato membro.
In ogni caso, se il rifiuto di eseguire un mandato d’arresto europeo è stato fatto in violazione delle condizioni essenziali e della procedura prevista dal diritto dell’Unione Europea, tale mandato d’arresto europeo resta in vigore e lo Stato di emissione conserva il diritto di eseguire nel proprio territorio la pena irrogata.